Pian di Coreglia, Campo 52: Un recupero della memoria locale e un'espressione di antirazzismo

Condivido questo video per sollecitare attenzione ai luoghi della memoria del nostro territorio. Lo condivido - anche - per esprimere una piccola ma sentita solidarietà a Liliana Segre, sperando che gli algoritmi dei social me lo consentano. Mi permetto di invitarvi a fare la stessa cosa, facendo argine alle più ignobili e vili espressioni di razzismo, fascismo e intolleranza, maldestramente sdoganate dai tempi in cui ci troviamo a vivere.


Campo 52: Tracce per il giorno della memoria

Fabrizio Benente e Massimo Minella tornano a Pian di Coreglia per narrare la memoria dei luoghi da cui, il 21 gennaio 1944, 20 cittadini ebrei italiani furono deportati ad Auschwitz. Da un'idea di Fabrizio Benente e Massimo Minella Con Giorgio "Getto" Viarengo Regia: Lucio Basadonne Riprese: Alberto Baschiera, Davide Colombino, Giancarlo Galante Produzione: UniGe Terza missione Servizio e-learning, multimedia e strumenti web Settore Relazioni esterne Settore Eventi

Sebastia e la Palestina (missione 2012/2013)






Nel 2012/2013 ho diretto una breve missione archeologica a Sebastia, in Palestina, collaborando con i colleghi di Al Quds University e con la cooperazione italiana nei Territori.

Sebastia (Palestina) è l’antica Samaria della tradizione biblica, poi città romana (Sebaste), bizantina, islanica, crociata (Casalis Sancti Johannis) e ancora islamica (Sebastiya). Si tratta di un centro pellegrinale di prima importanza per la presenza della tomba di San Giovanni Battista (che per l’Islam è il profeta Yahia). Testimoniata dalle fonti paleocristiane e menzionato negli itinerari dei pellegrini dal XII fino alla fine del XVII secolo. Sebastia è anche un sito archeologico mal conservato e piuttosto abbandonato a se stesso.

L'obbiettivo del progetto era individuare i limiti e le tracce archeologiche, monumentali e materiali dell'occupazione d'età islamica, crociata e cristiana (XI-XIII secolo) a Sebastia e nel suo territorio. Il breve survey archeologico fu anche esteso a diversi siti della valle di Sebastia, posti sulla direttrice viaria tra Gerusalemme/Nablus e Jenin. Il progetto prevedeva anche la realizzazione di un itinerario di visita virtuale alla città, curato da Roberto Frasca, per conto di ETT.

Come (talora) accade, il progetto ebbe precoce termine, soprattutto per la difficoltà di condividere effettivi obbiettivi scientifici e per problemi più "politici" con il mondo della cooperazione italo/palestinese. Potevo proseguire, insistere, ma decisi di troncare la collaborazione e chiudere il progetto.

Ho sempre avuto il dubbio di essere stato coinvolto in un gioco tra le parti, senza avere sufficiente esperienza ed elementi per capire le regole, e interpretando (probabilmente) il ruolo dell'utile idiota. Per questo, ricordo molto più volentieri gli studenti, le serate a parlare, le persone incontrate, i luoghi, il cibo e l'ospitalità delle persone comuni.

Non ho mai pubblicato nulla dei dati raccolti, anche perché fu veramente un survey preliminare. Il video montato da Roberto Frasca raccoglie indubbiamente la parte più positiva ed emotiva dell'esperienza.

Mi piacerebbe tornare, non come archeologo, come semplice viaggiatore.

Il cippo confinario del Monte Ramaceto


Questa volta attingo alle memorie da ex direttore del MuSel di Sestri Levante (2012-2018). Nel 2017 abbiamo allestito una piccola sala del museo per ospitare il cippo confinario rinvenuto sul Monte Ramaceto. Condivido il video che ho realizzato con Andrea Bertero, con interviste a Giovanni Mennella e a Vincenzo Tinè.

Il cippo confinario, di età romana (II secolo d.C.), è stato trovato (in realtà... per la seconda volta) poco sotto la cima del Monte Ramaceto nel 2015. Reca due brevi iscrizioni e, probabilmente assieme ad altri analoghi, delimitava da un lato un vasto latifondo imperiale, come dichiara la scritta Caesaris n(ostri) (“Proprietà del nostro imperatore”). Sul lato opposto compaiono le lettere P M G, che sono di significato meno chiaro: forse identificavano le sigle onomastiche di un privato proprietario confinante, e a sua volta latifondista; oppure segnalavano nella forma P(ublicum) M(unicipii) G(enuensium) (“Proprietà pubblica del municipio di Genova”) i beni terrieri qui posseduti da Genua, che in epoca romana estendeva la giurisdizione anche sulla riviera ligure orientale. 

Finora unico nel suo genere in Italia e tra i pochi documentati altrove, il reperto è di grande importanza per la conoscenza del più antico paesaggio rurale ligure: vi emerge la centralità dell’apparato amministrativo imperiale (il fiscus), che col concorso di grandi capitali, una collaudata struttura organizzativa e personale proprio, gestiva in modo sistematico, razionale e redditizio le estese risorse agro-silvo-pastorali che l’imperatore, nel suo ruolo di investitore e imprenditore privilegiato, aveva acquisito nella riviera di Levante.

Dopo quel ritrovamento, il Monte Ramaceto e l'area di Cichero sono entrati di diritto negli interessi di appassionati locali, scopritori di iscrizioni e incisioni rupestri. In generale, si tratta di non professionisti, ma molto determinati a sostenere le loro tesi. Su certi temi (ad es. culti romani e indigeni, pretese esaugurazioni da parte dei monaci di Bobbio) è in atto una vera e propria strategia di disinformazione locale, sostenuta da conferenze, pubblicazioni e piccoli convegni. Negli ultimi anni, mi sono sottratto da ogni confronto pubblico e da ogni dibattito su questi e altri temi. Sarebbe tempo sprecato, perché la fantasia esercita forme di fascinazione popolare che nessuna logica scientifica può controbattere. Per fortuna, il confine di diffusione di queste scoperte è meramente vallivo, ossia  chilometrico. Poco oltre, per fortuna, tutti le ignorano e nessuno se ne cura. Il tempo, come sempre, sarà galantuomo. 

I fear “decision makers,” even when they bring gifts.




I fear “decision makers,” even when they bring gifts. Sometimes, I look to the future and I hope it will not be a vortex of technology and consumption, but a systematic action to reduce inequality, in the balance between ecological, cultural and digital transition. I'm curious about the new smart cities, and I imagine they will be able to regenerate social spaces and habits. I imagine that we will have to make informed choices, identifying personal milestones. If someone asks me what I will take with me in the coming year, I answer that I will keep with me the legacy of memories, the identity of the places and I will protect the original ideas. They are solid milestones, they help me understand where I'm coming from and the road I've traveled. I find them suitable for living in a society where everything is liquid and risks slipping away quickly.


Riabitare la montagna ligure

 



La nostra regione ha un’alta incidenza di territorio “montano”. Possiede una stretta fascia costiera, ad alta densità abitativa, che lascia subito spazio ad un entroterra molto meno abitato, caratterizzato da versanti ripidi, addomesticati storicamente da sistemi di terrazzamento e da antiche pratiche di gestione delle risorse boschive.

Questi ultimi anni di “paura” virale hanno cambiato, in qualche modo, la percezione della “montagna”. Le case “di campagna” e l’eredità semi abbandonata “dei vecchi” sono improvvisamente diventati il luogo del rifugio, a volte scomodo per la mancanza di servizi, ma certamente “sicuro”, anche adatto al lavoro remoto e a replicare le modalità sociali che la città non poteva più garantire, a causa delle regole del distanziamento.

Tuttavia, l’entroterra vallivo e montano non può essere uno spazio da frequentare temporaneamente, sempre che si dimostri ben attrezzato di tutte le comodità della vita cittadina. Non è il luogo dove turisti e cittadini possano trasferire “nel verde” le loro consuetudini, compresa la festosa movida estiva.

L’incipit può sembrare offensivo. A mia discolpa, confesso di aver scelto di tornare a vivere, da quasi vent’anni, tra i Liguri dei Monti, assumendone qualche asprezza, ma perfettamente consapevole dell’esigenza di proteggere qualità del vivere, tipicità e biodiversità.

Ho un altro grave difetto: diffido della insostenibile leggerezza di chi, amministrando dai bei palazzi di città, pensa allo spazio rurale esclusivamente in termini di sviluppo di forme di turismo, tra costa ed entroterra, possibilmente favorite dall’accesso a contributi europei e supportate da attività di “ripristino naturalistico e miglioramento ambientale”, genericamente rubricate come progetti di “rinaturalizzazione”. La Liguria montana è un territorio che non si presta a generalizzazioni, perché è “diverso”, da Levante a Ponente, governato da tante identità. Non è uno spazio che necessariamente deve essere adattato al turismo, o che deve tornare incontaminato e spopolato per sollecitare il godimento di una minoranza contemplativa che non saprebbe mai costruire un rapporto materiale e prolungato con la terra. La montagna ligure è uno spazio che deve essere gestito soprattutto da chi sceglie di viverci in maniera permanente, garantendone la sopravvivenza identitaria.  Appartenere alla montagna non è un’eredità basata sul diritto di nascita e sulla sopravvivenza assistita. Scegliere di vivere la montagna vuol dire prendere completamente in carico la quotidianità, l’addomesticamento delle asprezze, sapendo diventare attori consapevoli e rispettosi di un paesaggio che per secoli è stato rimodellato dall’uomo, con pratiche collettive che si possono ancora riprodurre, aggiornandole.  In tutto questo non c’è nulla di “eroico”. Si tratta di un aggettivo sdrucciolevole e abusato, fino a diventare uno specchietto commerciale per allodole (agricoltura eroica, vini eroici, ecc.).

L’entroterra e la montagna potrebbero essere il luogo ideale per la sperimentazione di una nuova mobilità verticale, non turistica, ma legata ad una rinnovata attitudine nomade a lavorare in città e presidiare attivamente l’entroterra, recuperando con vigore lo spazio abitato, lo spazio coltivato e il bosco.

Cosa servirebbe?

Per prima cosa una profonda conoscenza diretta della realtà rurale da parte di chi oggi si candida ad amministrare la nostra Regione. I tour elettorali in campagna sono brevi parentesi di promesse verbali, talora scritte sulla carta velina dei programmi elettorali. Occorrono semplificazione amministrativa, accesso al digitale, infrastrutture e servizi essenziali (scuole locali, garanzia di trasporto pubblico, presenza di presidi ambulatoriali). Occorrono interventi per favorire l’economia della tipicità, e il consolidamento di buone pratiche che garantiscano un utilizzo durevole delle risorse. Si tratta di aver il coraggio di affidare nuovamente agli attori locali e alle loro micro-istituzioni la gestione diretta dei paesaggi e del patrimonio rurale. Occorre passare dall’economia assistenziale del “contributo” a quella premiale dello sgravio fiscale, ma concesso a soggetti e a progetti ben identificati. Altrimenti, entro pochi anni, ci resteranno pochi e ameni luoghi di villeggiatura montana, vissuti come spazi di compensazione della vita urbana, dove turisti e bambini guarderanno con stupore gli “animali vivi”, muoversi liberi in mezzo a tante vecchie case e alle “cose verdi con le foglie”.

Parlando di occhi chiusi e proiettili vaganti (Deep Purple - Child in Time)




"... Ian Gillan canta "See the blind man shooting at the world. Bullets flying, ooh taking toll". Con una traduzione un pò libera, ma oggi molto attuale potremmo renderla: "Guarda l'uomo cieco mentre è impegnato a sparare al mondo. I proiettili vaganti esigono (sempre) un tributo (di vite umane)". Nei versi successivi della canzone (And you've not been hit by flying lead You'd better close your eyes you'd better bow your head Wait for the ricochet) qualche critico musicale ha letto un riferimento diretto alla teoria della Mutual Assured Destruction (MAD). Tra il primo attacco nucleare e la sua immediata risposta "di riflesso" passerebbero pochi minuti. Nessuno dei contendenti ne uscirebbe vincitore, ma tutti sarebbero distrutti, o colpiti dagli effetti collaterali del fall out. Per questo, Gillan canta "se non sei stato colpito dal piombo vagante, chiudi gli occhi, abbassa la testa e aspetta il colpo di rimbalzo del proiettile". Comunque sia, il colpo è destinato a arrivare".
#paroleinterraincognita
#fabriziobenente

L'ITALIAchiAMÒ – Contributi da Genova per la Festa dei Lavoratori





Ho conosciuto Massimo Zamboni nel periodo in cui ero direttore del Museo di Sestri Levante e, in quella veste, lo invitai a presentare il film Breviario Partigiano (Post CSI). Un paio di anni dopo, Massimo tornò ad essere ospite delle nostre serate estive, sotto la Torre dei Doganieri, e presentò "Anime galleggianti". In anni più recenti, diventato prorettore dell'Ateneo, genovese, ho chiesto a Zamboni di partecipare al documentario "Dove si posa il vento", realizzato in occasione della Festa della Liberazione 2021. Dati i precedenti, non è stato difficile convincerlo a registrare una riflessione sul significato che dobbiamo dare oggi alla parola Patria, al dovere, alla dignità e alla consolazione che derivano dall’esercizio del semplice atto del lavoro. La riflessione, insieme ad alcuni pezzi del suo ultimo album, è diventata un prezioso contributo di UniGE, in occasione della Festa dei Lavoratori 2022.

Il video è stato registrato a La Claque, il 15 aprile 2022, in occasione della tappa genovese del tour di Massimo Zamboni. La produzione UniGe per la Festa dei Lavoratori è stata ideata e curata da chi scrive, e da Davide Colombino ed è stata realizzata grazie alle professionalità del Servizio e-learning, multimedia e strumenti web, con la collaborazione del Settore relazioni esterne dell'Università di Genova.

Buon ascolto e buona visione

  La “quarta missione” dell’Università: il feticcio della rendicontazione  (pubblicato su Repubblica, Genova, 8 aprile 2024) Chi insegna nel...