Volete
sapere come si faceva il pane nei boschi ?
Era il ’56
ed ero andato a tagliare la legna, in un bosco vicino al Lago delle Lame (in
Valle Sturla). C’era un toscano che si chiamava Marino. Era uno che faceva il
capomacchia: erano chiamati così i capoccia, quelli che comandavano il taglio
del legname. Bisognava fare il pane, perché era un po’ troppo scomodo portarlo
su nel bosco e poi veniva molto buono, proprio in quel punto lì.
Per fare la
cottura di questo pane, ho visto prima fare il forno.
Iniziavano
raccogliendo dei rami di legna del diametro di cinque o sei centimetri e
costruivano un castelletto centrale di forma quadrata. Fatto il castello
centrale, aggiungevano la legna più piccola, incastrando bene le ramaglie,
cercando di dare una forma arrotondata, proprio come una cupola di forno. Poi
prendevano delle foglie secche, foglie che magari erano lì da due anni, però
che fossero ben umide sotto, e le disponevano sopra ai rami, per creare una
superficie regolare, in modo che non rimanessero dei vuoti.
Come argilla si
usava la creia, ossia una terra che era simile a quella che c’è sotto i
ceppi dei castagni. Se provate a scavare sotto una pianta di castagno,
troverete un tipo di terra rossa creta, che somiglia a quella con cui si fanno
i mattoni per l’edilizia. È quasi uguale, ma non si trova da tutte le parti,
perché se ci sono troppe foglie di faggio, la terra marcisce e diventa nera.
Loro la cercavano rossa, come l’argilla e se era troppo asciutta prendevano un
po’ d’acqua e la impastavano come si fa con la calce, ma doveva rimanere molto
più consistente. Una volta impastata, la lasciavano per un po’ di tempo stesa
al sole. Poi disponevano la terra creia sulla forma fatta con le
ramaglie e rivestita di foglie umide, la battendola bene con le mani e
lisciandola, poi all’esterno.
Sul davanti,
realizzavano un’apertura alta trenta o quaranta centimetri, utilizzando un
pezzo di lamiera, piegato in modo da fare un arco, ma non un cerchio regolare,
piuttosto un’elisse. Si dice così, vero ? Dalla parte opposta predisponevano
una sorta di camino, sempre utilizzando un pezzo di lamiera. In questo modo il
fuoco e il calore, prima salgono verso la volta della cupola e poi fanno il
giro, ed escono dall’apertura del camino, che è posta dietro, ma in basso.
Una volta rivestita
di argilla la forma e dopo averla ben lisciata in superficie, accendevano
all’interno il primo fuoco. Questo incendiava i rametti più sottili e poi il
castello centrale e le foglie, ma pian piano. Quel fuoco bruciava lento, come
quello di una carbonaia. L’argilla diventava lentamente terra cotta e così si
preparava il forno. Una volta finito, era pronto per iniziare a produrre il
pane e veniva usato per tutta la stagione del taglio del bosco.
Per cuocere il pane
prendevano delle foglie secche e della legna fine e cominciavano ad alimentare
il fuoco all’interno del forno di terra cotta. Mentre la legna bruciava e
calava, si continuava ad aggiungerne dell'altra. Mettevano anche legna più grossa.
Durante l’attesa avevano preparato la paletta per infornare il pane, usando il
legno di faggio, lavorandolo con le roncole e con l’accetta. Preparavano delle pagnotte, un po’
affusolate, ci facevano un taglio nel mezzo, ed erano di mezzo chilo ognuna,
perché lo sapevano stimare ad occhio… e perché lo vendevano per mezzo chilo.
Quando il forno era
fuogato, cioè avevano fatto tanto fuoco che le pareti erano diventate
rosse, allora con la paletta di legno di faggio prendevano una decina di queste
pagnotte crude e le infornavano. Le lasciavano cuocere per quaranta
minuti. Facevano il pane per circa
quattro ore al giorno, perché era per i boscaioli che facevano la legna: gente
che tagliava e che faticava, gente che si trovava di passaggio, anche
mulattieri. Il pane lo vendevano nel bosco, così appena fatto… ed era
buonissimo quel pane lì, credetemi.
Il fornetto, se
stavi attento, se lo coprivi bene e non lo facevi bagnare, durava tutta la
stagione. Si iniziava a lavorare verso il venti di aprile e si andava via dal
bosco ai Santi, certo a seconda delle annate e del freddo che faceva, perché a
mille o millecinquecento metri si cominciava a stare mica tanto bene, e quando
veniva la brutta stagione se ne andavano proprio tutti. Il mese di ottobre i
Veneti e i Toscani - erano bravissimi a tagliare il bosco - cominciavano ad
andare via, perché la loro stagione ormai era finita. Rimanevano cinque o sei
squadre di mulattieri, perché la legna era tagliata, ma era ancora sparsa nel
bosco e andava portata tutta giù a valle. C’erano anche le teleferiche, con il
cavo d’acciaio teso, che scendeva giù fino a valle. Appendevi la fascina
tramite un gancio di ferro e poi la lasciavi andare a valle, prendeva velocità
e, passando giù nel bosco, fischiava fortissimo. L’attrito tra il cavo e il
gancio, qualche volta, produceva scintille (continua).
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